A settembre 2020, a seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs. n. 116/2020, sono state introdotte importanti modifiche al D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, cosiddetto Testo Unico dell’Ambiente (TUA). Alcune novità importanti riguardano la parte IV relativa alla gestione dei rifiuti, infatti sono state riviste le definizioni di rifiuti urbani e speciali con conseguenze sull’applicazione della Tariffa Rifiuti – TARI (L. 147/2013, commi dal 641 al 668).
In particolare, è stata eliminata la categoria dei rifiuti assimilati agli urbani (erano quei rifiuti speciali analoghi agli urbani per tipologia e quantità, ma prodotti da utenze non domestiche) con effetti significativi per le realtà produttive che generano sia rifiuti speciali che urbani.
Poiché le modifiche introdotte dal D. Lgs. 116/2020 hanno suscitato parecchi dubbi e perplessità, il MISE ha emanato una circolare esplicativa in merito (che vi alleghiamo).
Vediamo insieme cosa dice questa circolare:
- viene meno il potere dei comuni di regolamentare l’assimilazione, per qualità e quantità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, operando quindi una classificazione dei rifiuti uniforme su tutto il territorio nazionale;
- al comma 2-bis dispone che le utenze non domestiche possono scegliere se affidare i propri rifiuti urbani, al servizio pubblico di raccolta oppure ad un privato, a patto che vengano avviati a recupero (e non a smaltimento, es discarica).
Come si dimostra l’avvio al recupero?
è necessario che il produttore del rifiuto sia in possesso di un’attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi. è probabile che in futuro sarà sufficiente il Formulario di Trasporto dei Rifiuti (FIR) come attestazione dell’avvenuto invio a recupero e della quantità e tipologia del rifiuto.
- esclusione della corresponsione della componente tariffaria, rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti (quota variabile), per le utenze non domestiche che producono rifiuti urbani e li conferiscono al di fuori del servizio pubblico, dimostrando di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi. La norma precisa che la scelta di servirsi del gestore del servizio pubblico, ovvero del ricorso al mercato, deve essere effettuata per un periodo non inferiore a cinque anni; salvo la possibilità per il gestore del servizio pubblico, dietro richiesta dell’utenza non domestica, di riprendere l’erogazione del servizio anche prima della scadenza quinquennale.
L’attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di avvio a recupero dei rifiuti è pertanto
sufficiente ad ottenere la riduzione della quota variabile della TARI in rapporto alla quantità di detti rifiuti, a prescindere dalla quantità degli scarti prodotti nel processo di recupero.
Chiariti gli aspetti relativi alla riduzione della quota variabile della TARI per le utenze
non domestiche, proporzionalmente alle quantità dei rifiuti autonomamente avviati a recupero,
è opportuno sottolineare che per le stesse utenze rimane impregiudicato il versamento della TARI
relativa alla parte fissa, calcolato sui servizi forniti indivisibili.
L’utenza non domestica, produttrice di rifiuti urbani, è tenuta a comunicare formalmente all’ente gestore della raccolta urbana o al Comune, la scelta di non avvalersi del servizio pubblico di raccolta. E tale comunicazione deve essere fatta entro il 31 maggio di ogni anno.
Vale la pena di precisare che la comunicazione, relativa alla scelta di affidarsi a un gestore
alternativo a quello del servizio pubblico, deve riportare le tipologie e le quantità dei rifiuti urbani prodotti oggetto di avvio al recupero ed ha quindi valenza a partire dall’anno successivo a quello della comunicazione.
Ovviamente la norma non determina l’annullamento dei contratti di affidamento del servizio di
raccolta a soggetti privati conclusi precedentemente all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 116 del 2020 che, pertanto, continuano ad essere validi, salvo il loro adeguamento alle condizioni specificate dalla norma stessa.
QUINDI, VEDIAMO QUALI UTENZE NON DOMESTICHE POSSONO PRODURRE RIFIUTI URBANI.
ATTIVITÀ INDUSTRIALI
Occorre ricordare che l’Allegato L-quinquies al D. Lgs. n. 116 del 2020 contiene l’elenco delle attività che producono rifiuti urbani nel quale non sono ricomprese le “Attività industriali con capannoni di produzione”. Ciò potrebbe condurre alla conclusione che queste attività diano luogo solo alla produzione di rifiuti speciali.
Tuttavia, l’art. 184, comma 3, lettera c) del TUA definisce “speciali” i rifiuti delle lavorazioni industriali, se diversi dai rifiuti urbani, per cui appare evidente che:
LE ATTIVITÀ INDUSTRIALI SONO PRODUTTIVE SIA DI RIFIUTI URBANI CHE DI QUELLI SPECIALI.
Ciò comporta che:
- le superfici dove avviene la lavorazione industriale sono escluse dall’applicazione dei prelievi sui rifiuti, compresi i magazzini di materie prime, di merci e di prodotti finiti, sia con riferimento alla quota fissa che alla quota variabile;
- continuano, invece, ad applicarsi i prelievi sui rifiuti, sia per la quota fissa che variabile, relativamente alle superfici produttive di rifiuti urbani, come ad esempio, mense, uffici o locali funzionalmente connessi alle stesse. Limitatamente alle attività simili per loro natura e per tipologia di rifiuti prodotti a quelle indicate nell’allegato L-quinquies alla Parte IV del D. Lgs. n. 152 del 2006;
- resta dovuta solo la quota fissa laddove l’utenza non domestica scelga di conferire i rifiuti urbani al di fuori del servizio pubblico, poiché è prevista l’esclusione della sola componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti e cioè della parte variabile.
ATTIVITÀ ARTIGIANALI
Tali considerazioni sopra riportate, si applicano anche ai rifiuti urbani prodotti da attività artigianali.
ATTIVITÀ AGRICOLE, AGROINDUSTRIALI E DELLA PESCA
Per quanto riguarda le attività agricole, agroindustriali e della pesca, l’articolo 184, comma 3, lettera a) del TUA classifica come speciali tutti i rifiuti derivanti da dette attività, comprese anche quelle ad esse connesse.
In tale contesto, occorre, però, considerare che l’allegato L-quinquies, della Parte quarta del TUA chiarisce che “Attività non elencate, ma ad esse simili per loro natura e per tipologia di rifiuti prodotti, si considerano comprese nel punto a cui sono analoghe”.
Tale previsione può quindi essere applicata alle attività relative alla produzione agricola che presentano le medesime caratteristiche riportate nel citato allegato.
Deve ritenersi ferma, quindi, la possibilità, in ogni caso, di concordare a titolo volontario con il servizio pubblico di raccolta modalità di adesione al servizio stesso per le tipologie di rifiuti indicati nell’allegato L-quater della citata Parte quarta del TUA.
POSSIBILITÀ DI FISSAZIONE DI UNA QUANTITÀ MASSIMA DI RIFIUTI URBANI CONFERIBILI AL SISTEMA PUBBLICO
Riguardo a tale punto, occorre ribadire che il D. Lgs. n. 116 del 2020 ha eliminato la competenza dei comuni in materia di regolamentazione sull’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, facendo venir meno, a decorrere dal 1° gennaio 2021, anche i limiti quantitativi già stabiliti dai regolamenti comunali.
È stato evidenziato che potrebbe verificarsi un aumento incontrollato delle quantità di rifiuti urbani rispetto a quelle attuali, rendendo difficile lo svolgimento del servizio; per cui è stata manifestata l’esigenza di fissare dei limiti di conferimento dei rifiuti urbani da parte delle utenze non domestiche che tengano conto della capacità di assorbimento del sistema.
In ogni caso, vale la pena di sottolineare che i comuni sono tenuti ad assicurare la gestione dei rifiuti urbani, compreso lo smaltimento in regime di privativa, ove l’utenza non domestica scelga di avvalersi del servizio pubblico.
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